Il comitato provvisorio tifernate del Partito Popolare Italiano si formò il 28 febbraio 1919. Tra i più attivi vi era don Enrico Giovagnoli. Il vescovo gli dette fiducia, nonostante i passati dissapori, e lo inserì nella giunta direttiva dell’Unione Popolare, perché essa potesse giovarsi del suo prestigio e delle sue indubbie capacità organizzative. Quando la sezione tifernate del partito si costituì ufficialmente, l’assemblea degli iscritti elesse proprio Giovagnoli alla carica di segretario politico.
Il sacerdote cercò di coinvolgere subito Venanzio Gabriotti, invitandolo calorosamente ad assumere un ruolo da protagonista. L’ex presidente del circolo Nova Juventus avrebbe accettato una seconda sollecitazione di Giovagnoli, a prendere in mano l’Unione del Lavoro, il braccio sindacale del movimento cattolico.
Per un po’ Giovagnoli e Gabriotti marciarono uniti, per quanto con idee non sempre collimanti. Entrambi furono protagonisti dei lavori del I Congresso umbro del P.P.I., svoltosi ad Assisi alla fine del 1920 alla presenza del segretario nazionale don Luigi Sturzo. Sulla spinosa questione agraria, il congresso approvò all’unanimità l’ordine del giorno della sezione di Città di Castello, illustrato proprio da Giovagnoli.
Nel congresso del Partito Popolare dell’ottobre del 1921, che discusse il problema dei rapporti con il Fascio di Combattimento e la questione delle alleanze politiche, la sezione tifernate si schierò con la posizione di Giovagnoli e Gabriotti, che auspicavano la "netta" distinzione del P.P.I. da ogni altro partito, a "salvaguardia della purezza e della integrità" dei suoi principi; lasciavano aperti spiragli per accordi di collaborazione, che avrebbe comunque dovuto avere come fondamento un "programma schiettamente democratico".
Allora già stavano emergendo dissapori di carattere politico e personale tra Giovagnoli e Gabriotti. Il sacerdote cessa di comparire come figura centrale della sezione “popolare” tifernate, che trovò in Gabriotti il suo battagliero leader.