Nel frattempo si erano ricostituiti i partiti e prendeva il via un vivace confronto politico, che si manteneva ancora nei limiti di un vicendevole rispetto per la pressione dei gravi problemi della ricostruzione e per il cemento unitario alimentato dalla collaborazione nel Comitato di Liberazione Nazionale e nella Camera del Lavoro.
L’archivio di famiglia conserva la minuta, scritta di proprio pugno da Pierangeli, forse di un manifesto intitolato “Agli operai e contadini”, firmato “i socialisti tifernati” e datato settembre 1944. Delineava il cammino che, dopo la lunga parentesi della dittatura e della guerra, il movimento socialista avrebbe dovuto riprendere per l’“elevamento morale ed economico” dei lavoratori. Pierangeli sintetizzò con mirabile semplicità gli obbiettivi per i quali egli stesso si sarebbe ancora battuto strenuamente:
“È necessario che in ogni campo – industria e agricoltura – si intensifichi la produzione, e ciò non può ottenersi se non migliorando effettivamente il tenore di vita dei lavoratori […]. La miseria non si socializza; deve scomparire perché il proletariato si emancipi veramente. La terra deve dare più grano: le officine devono dare più vestiti, più scarpe, più mattoni, più mobili. È necessario che ai produttori si lasci la libertà di produrre meglio e di più, senza impacciarli con una burocrazia soffocatrice […]. È necessario che ad ogni cittadino sia lasciata la più ampia libertà di pensiero, rispettando in ogni uomo la dignità umana e la personalità, senza asservirla a gerarchie e a oligarchie, qualunque bandiera innalzino per nascondere il loro contrabbando. È necessario che città e campagna, operai e contadini si comprendano reciprocamente, si rispettino e collaborino fraternamente […]”.
Pierangeli era dunque riapprodato al socialismo, ma manteneva ancora convinzioni non del tutto ortodosse: “[sto] divenendo sempre più un fautore del federalismo e della iniziativa privata, dolendomi che la borghesia venga meno ai suoi doveri di iniziativa e di dedizione ai bisogni futuri. Questo convincimento non mi allontana però dal socialismo, se pure mi allontana dal partito socialista che non so quanto possa condividere il mio punto di vista. Perché la borghesia prenda iniziative e comprenda i suoi doveri, ha bisogno del pungolo infuocato della lotta di classe con cui il proletariato la incalzi alle reni”.
Superando le perplessità della frangia estrema, dunque, già nel settembre del 1944 Pierangeli aveva acquisito grande autorevolezza nel partito socialista tifernate, diventando il più ascoltato suggeritore di quei suoi esponenti che avrebbero ricoperto l’incarico di primo cittadino: Luigi Crocioni e GioBatta Venturelli. E finì con il dare un contributo essenziale affinché tornasse a vivere il periodico socialista “La Rivendicazione”, che pure lo aveva aspramente combattuto tra il 1915 e il 1920.
Sunto, senza note, tratto da A. Tacchini, Giulio Pierangeli: l’uomo e il politico, in Giulio Pierangeli. Scritti politici e cronache di guerra, a cura di A. Lignani e A. Tacchini, Istituto di Storia Politica e Sociale Venanzio Gabriotti, Petruzzi Editore, 2003.