Intanto manteneva l’incarico di Maestro di Cappella in Duomo e di organista della Schola Cantorum “Abbatini” e si dedicava con passione all’insegnamento privato. In quel dopoguerra, la tradizione musicale tifernate a forte impronta popolare si manifestò anche con l’emergere di indiscussi talenti naturali. Per costoro, Arcaleni fu la guida paterna e disinteressata, il burbero ma paziente istruttore, lo strumento per conoscere le proprie potenzialità e lo stimolo per allargare gli orizzonti.
Lui, infatti, scoprì ed addestrò il giovane Eolo Pei, un fisarmonicista prodigio vincitore nel 1948 del concorso nazionale per ragazzi e destinato ad un brillante futuro. E a lui si rivolse Amedeo Corsi, insolita figura di amante della musica e di mecenate, raccomandandogli di seguire con attenzione un tenore, Adelio Alunni, “scoperto” ad una festicciola. Il “maestrino”, che già lo aveva nella Schola Cantorum, lo preparò accuratamente per permettergli di seguire i corsi del Liceo Musicale perugino, l’odierno Conservatorio. Lì, il maestro Aldo Zeetti ne apprezzò le doti e pregò Arcaleni, di cui aveva grande stima, di continuare a star dietro alla giovane promessa, così da insegnargli un vasto repertorio lirico e renderne possibile una proficua continuazione degli studi prima al Liceo poi allo Sperimentale di Spoleto.
Proprio in quel periodo Alunni gli presentò una ragazza della cui voce si diceva un gran bene in città, Anita Cerquetti. Arcaleni le fece provare alcune canzoni in presenza di Amedeo Corsi, che si rese conto del talento della giovane e mormorò: “Caro Roberto, questa deve studiare canto!” Così il “maestrino”, sospinto dalla propria passione per la lirica e dall’incitamento di Corsi, disponibile a metter mano alla saccoccia se necessario, si trovò in casa due talenti cittadini, da istruire ed “impostare” per gli studi superiori.
Mentre ancora frequentavano i corsi a Perugia, nel 1948 poté per la prima volta, orgogliosamente, accompagnarli al piano dinanzi al pubblico tifernate in occasione del concerto commemorativo di Pietro Mascagni. Quelle arie da “L’Amico Fritz” e “Cavalleria Rusticana” suscitarono un’emozione intensa: Città di Castello, che pure aveva annoverato bravi musicisti, ora vedeva nascere dal suo seno anche interpreti dell’amata arte lirica. E proprio in quell’anno, emblematicamente, l’opera tornò in modo massiccio al “Vittoria”, con rappresentazioni di “Madama Butterfly”, “La Traviata” e “Il Trovatore”.
Si percepivano chiari segnali di un risveglio culturale: l’Accademia Filodrammatica si scuoteva da un momentaneo torpore; la Sagra Musicale Umbra, con la Nederlands Kamerkoor di Amsterdam, portava la grande musica nella chiesa di San Domenico; mostre di pittura facevano conoscere le qualità dei pittori locali, tra i quali Aldo Riguccini e un ancora incompreso Alberto Burri.
Anche il “maestrino” ci mise del suo: nel luglio del 1949, alla Basilica di Massenzio in Roma, fu eseguito da un coro scelto di artisti ed accolto da un “irrefrenabile applauso” il suo “Inno per il Quarantennale” dell’Unione Donne di Azione Cattolica. Aveva partecipato al concorso senza eccessiva convinzione, sospinto dalle sollecitazioni del vescovo Cipriani: “In un momento di enfasi ho buttato giù questi versi, semplici e piani, come si diceva dovevano essere. Vuol provare a… un suo scatto di genio musicale? Provi! Provi! Manderemo subito a Roma, e, chi sa? Ma… non dica a nessuno che l’autore dei versi sono io.”
Due anni dopo, finalmente un riconoscimento ufficiale coronava la carriera di Arcaleni, con la nomina a Cavaliere Pontificio di San Gregorio Magno. La motivazione: “Direttore esimio, compositore geniale, che all’arte divina della musica educò molte generazioni di giovani, a perenne memoria…”
L’estratto manca delle note presenti nel testo Roberto Arcaleni “il Maestrino” (Scuola Grafica dell’IPSIA, 1995).