L'”Aida”

Nell’immediato dopoguerra, in un clima di esteso disagio sociale e di forti turbolenze politiche e sindacali, le ambizioni culturali di musicisti e filodrammatici dovettero fare i conti con ben più impellenti esigenze di sopravvivenza quotidiana. Ma la città rinvigorì presto le sue tradizioni. Nel luglio del 1920, il banchetto conclusivo dei lavori di restauro del Teatro degli Illuminati vide fraternizzare operai, artigiani, tecnici e intellettuali, che insieme avevano creduto nell’importanza di quell’opera, sia per creare occupazione che per far rifiorire le stagioni di lirica e di prosa. Il personaggio carismatico che più di ogni altro aveva cullato il sogno di un teatro "rinnovato", mobilitando tutte le energie più preziose della città, era Amedeo Corsi, il giovane presidente dell’Accademia degli Illuminati.
Corsi previde un’inaugurazione sontuosa, il 22 agosto, con l’"Aida" di Verdi. Mai, come allora, un evento culturale coinvolse Città di Castello. I giornali riferirono increduli dell’eccezionale dispiego di personale richiesto dall’opera: oltre ai cantanti, figuravano 12 ballerine, un’orchestra di 60 esecutori, una banda musicale sul palcoscenico, un coro di 70 elementi, 16 morette, 8 trombe egizie, 100 comparse, e infine buoi, cavalli… Vi fu spazio per tanti tifernati. Arcaleni, che il Comune poco tempo prima aveva confermato maestro di solfeggio e nominato istruttore dei cori, chiamò a raccolta gli appassionati della Società Corale "Giuseppe Verdi" e, come riconobbero le cronache, fece "prodigi" per prepararli al meglio per il debutto.
"Il Piccolo" di Roma parlò di "successo trionfale", titolando a caratteri cubitali: "L’immortalità del genio verdiano esaltata nell’Umbria. Imponente esecuzione dell”Aida’ a Città di Castello". Lusinghieri i giudizi sul ruolo recitato dai tifernati: "Il maestro Arcaleni è un innamorato del coro ed ha iniziato e condotto a termine la preparazione e l’istruzione di tutta la massa con competenza, con energia, con abnegazione… Le esecuzioni sono risultate fin qui senza un neo. Di più, e questa è la principale ragione, i coristi cantano con vera passione, con squisito gusto d’arte… E’ bello vedere operai che, dopo il lavoro non certo leggero di una intera giornata, corrono la sera a sostenere la loro parte, che non è né piccola, né facile… Anche ottima" – continuava il periodico – "s’è dimostrata la banda sul palcoscenico; e meravigliose le trombe egiziane – tutti suonatori locali – che mandano al cielo la marcia trionfale celeberrima".
Il valore più intimo di questo enorme sforzo di partecipazione lo seppe bene interpretare il corrispondente de "Il Giornale d’Italia": "Dopo il grande scempio di corpi e soprattutto di anime che ha fatto la guerra, bisogna ricominciare l’opera di rieducazione; e servirsi del valido e infallibile ausilio dell’arte. Forse chi torna ad avvicinarsi ad essa si sentirà dentro o meno odio o meno tristezza: le due macchie nere che ancora adombrano quasi totalmente l’anima umana. L’arte, e massime la musica, è una voce che parla per tutti: bisogna ascoltarla".
Non tutti, però, vollero ascoltarla. Spietata si levò la voce dei socialisti contro l’apatia e l’incultura di quei ceti benestanti che snobbarono l’avvenimento: "La borghesia è pressoché assente. Ha altre idee per il capo: pensa ad impinguare sempre più il portafoglio e quindi non si cura degli avvenimenti artistici che danno un po’ di vita e di commercio al paese. Del resto," – concluse il loro periodico – "anche se andasse al teatro, vi andrebbe semplicemente per farsi vedere, poiché non ci capisce nulla! E’ tutta gente semianalfabeta o analfabeta completamente…"
 
L’estratto manca delle note presenti nel testo Roberto Arcaleni “il Maestrino” (Scuola Grafica dell’IPSIA, 1995).