Felice Arcaleni gli raccoglieva anche le prenotazioni dei fidanzati che ne richiedevano l’accompagnamento musicale per la cerimonia nuziale. E inoltre Felice, insieme al padre Luigi, era un componente fisso dell’Orchestra Arcaleni, detta talvolta nelle cronache Orchestra dell’Eden. Nelle esibizioni settimanali in quel locale cinematografico, Roberto di solito dirigeva un affiatato insieme di musicisti, con la nipote Bohème al piano, Felice o il padre di lui Luigi al contrabbasso, Argentino Argenti, Emilio Micchi, Basilide Morelli, Maria Vittoria Pierleoni e Primo Sperli al violino, Mario Bistoni al sassofono, Giuseppe Pedoni e, successivamente, il conte Vincenzo Pierleoni al flauto, Momo Serafini al clarino e Ugo Tofani all’oboe.
Per la scelta delle musiche ci pensava lui stesso. In genere andava a visionare la pellicola, sceglieva dal suo enorme repertorio i brani più adatti al genere di film e li provava con il gruppo. E durante la proiezione, doveva con un occhio seguire lo sviluppo della storia, per assicurare la giusta sequenza di tempi tra scene e tipi di musica. Si trattava di un’orchestra in piena regola, quindi, dalla quale Arcaleni attingeva i componenti per gli altri concerti cui lo chiamavano: esecuzioni di musica classica, intermezzi durante spettacoli teatrali, trattenimenti danzanti a carnevale. Sovente ricorreva anche ad altri musicisti di sua fiducia, tra cui i violinisti Lelio Lepri e Mario Ottaviani, la tromba Adolfo Palazzi, il basso tuba Giuseppe Beni.
Negli anni Trenta la sua vita dovette certo mantenersi frenetica. Lo si vedeva spesso su e giù per la città, in sella all’inseparabile bicicletta, per star dietro agli impegni didattici in Seminario e nel Collegio Serafini, alle lezioni private, alla Schola Cantorum, ai cori dell’Opera Balilla, alle suore ed ai fanciulli degli istituti religiosi, alle operette della Filodrammatica e infine alla sua orchestra. Di tanto in tanto qualche impegno straordinario ma di soddisfazione, come la direzione dei cori nella “Tosca” del 1932 e nell'”Andrea Chenier” del 1937, quando lo stesso autore Umberto Giordano volle congratularsi con lui. Le grandi rappresentazioni operistiche giunsero assai più sporadicamente a Città di Castello, sempre pronta però ad accoglierle con entusiasmo, come nel 1932 per la “Cavalleria Rusticana” e “I Pagliacci”, messi in scena dal Carro di Tespi lirico, con i suoi spettacoli estivi itineranti per le piazze delle cittadine di provincia.
Arcaleni abitava in “piazza di sopra”, nel palazzo Bufalini, all’angolo con via Angeloni. Specie nella buona stagione, quando teneva aperte le finestre dell’appartamento, si potevano udire le note del suo piano. Talvolta si trattava di quelle deliziose melodie che componeva con tanta brillantezza; spesso erano i rudi e incerti passaggi musicali di qualche fanciullo a lezione privata. E se l’allievo non si disimpegnava a dovere e il “maestrino” non era in giornata, poteva capitare – come in effetti capitò – di veder volare dalla finestra i fogli con la lezione del giorno. Già di per sè di carattere un po’ burbero, era un problema averlo intorno se esasperato. La stessa “piazza di sopra” faceva però da scenario ai suoi consueti momenti di relax: al Circolo Tifernate, per leggere i giornali, e al Caffé Italia, dall’amico “Pecione”, o alla farmacia Bini, per scambiare quattro chiacchiere.
L’estratto manca delle note presenti nel testo Roberto Arcaleni “il Maestrino” (Scuola Grafica dell’IPSIA, 1995).