Il secondo conflitto mondiale, con la sua scia devastante di lutti, tensioni e sofferenze, vide anno dopo anno ridimensionarsi la vita culturale. Il regime fece di tutto per mantenere vitali quelle istituzioni che gli assicuravano ancora il sostegno popolare e alle quali affidava l’onere dell'”inquadramento totalitario delle masse” e della propaganda, sempre più pervasiva e soffocante in epoca bellica. L’Opera Nazionale Balilla si tramutò in Gioventù Italiana del Littorio. Proprio la G.I.L., nel 1941, chiese ad Arcaleni di mettere in piedi un coro per il concorso provinciale. Lui raccolse cinquanta adolescenti, metà maschi e metà femmine, e li fece provare a lungo al Circolo Tifernate. Sapeva farsi rispettare dai fanciulli; molti ne ricordano gli scatti d’ira e, assai spesso, le bacchettate che richiamavano all’ordine i disattenti. Il “maestrino” dovette essere molto efficace, perché il coro cittadino della G.I.L. si classificò primo assoluto. L’anno dopo istruì i cori per “Cavalleria Rusticana” e “I Pagliacci”, le ultime opere liriche allestite durante il Ventennio, e dette una mano agli studenti universitari che misero in scena la rivista “Tutto o… niente”, uno dei pochi spettacoli che riportarono il sorriso sul volto di tifernati in quell’angosciosa fase cruciale della guerra.
Poi, la convinzione dell’imminente sconfitta, lo sbarco degli Alleati sul suolo italiano, il crollo del fascismo, la timida ripresa della vita democratica, l’occupazione tedesca e la morsa del regime fascista repubblicano, la fuga dei giovani alla macchia e la nascita delle formazioni partigiane, l’inesorabile avanzata degli anglo-americani, il passaggio del fronte, le paure e le distruzioni. Infine, il 22 luglio 1944 gli inglesi entrarono in città.
Il 30 di quello stesso mese, nelle sale del Circolo Tifernate, Arcaleni si esibì per i loro ufficiali in un “Piano and violin recital”, insieme a Maria Luisa Sergiacomi e ad Ernesto Ottaviani, un promettente giovane appassionato di musica leggera. Ad ottobre animò la serata lirica promossa dagli universitari dell’U.S.I.; ebbe al suo fianco l’altro musicista Luigi Mori, insegnante della scuola comunale di strumenti ad arco e marito della nipote Bohème.
La guerra lasciò alle spalle una città fortemente provata, ma pronta a dar fondo a tutte le risorse umane e morali. La ricostruzione si prospettava infatti faticosa, lenta e costosa, in uno scenario di generalizzata miseria e di crescenti tensioni sindacali e politiche. Le cronache di quei mesi, però, testimoniano anche di una esuberante e diffusa voglia di tornare a godere la vita, assaporando quell’atmosfera di pace e di libertà, che per i più anziani costituiva una quasi insperata riconquista, per i giovani un’esaltante scoperta. Le note della musica leggera italiana e del jazz americano risuonarono più forti ed insistite che mai, fors’anche per esorcizzare povertà e disagi sociali. Sale da ballo più o meno improvvisate, veglioni, carnevali inesauribili, serenate: furono anche questo gli anni Quaranta. E ad interpretarli con brio, una nuova generazione di musicisti tifernati.
Il “maestrino”, ormai più che sessantenne, cominciò a ritagliarsi un ruolo più austero. Il successo e, talvolta, l’esistenza stessa delle iniziative più impegnative dipendevano da lui. Quando, nel maggio del 1947, la ricostituita e ampiamente rinnovata Accademia Filodrammatica mise in scena l’operetta “Santarellina”, chi altro, se non lui, poteva avere la competenza ed il carisma per arrangiare la musica alle nuove voci e dirigere l’orchestra? E a chi altro il vescovo Filippo Maria Cipriani poteva affidare l’arduo compito di maestro concertatore e di direttore dell’orchestra per l’imponente sacra rappresentazione “Mater Christi”, che vide l’intero ambiente cattolico raffigurare, con “quadri viventi”, musica e brani letterari, la vita della Madonna?
L’estratto manca delle note presenti nel testo Roberto Arcaleni “il Maestrino” (Scuola Grafica dell’IPSIA, 1995).