Il giornale pubblicati dai democratici tifernati.
Giulio Pierangeli

“Rinascita”

La sera del 25 luglio 1943 la radio rese noto che il Gran Consiglio del fascismo aveva votato la sfiducia a Mussolini. Il Duce era stato arrestato e sostituito alla guida del governo da Pietro Badoglio. La notizia colse di sorpresa i fascisti, informati come tutti dal comunicato radiofonico. Rimasero increduli, sbigottiti, incapaci di reagire, di mobilitarsi, di spiegare alla gente quanto stava avvenendo. Invece, quasi attendessero da un momento all’altro l’occasione opportuna per passare all’azione, i più pronti e coraggiosi dei loro avversari si incontrarono la sera stessa, eccitati per la repentina svolta. Tra di essi Venanzio Gabriotti e Giulio Pierangeli. Analizzarono attentamente la situazione e concordarono di pubblicare subito un periodico, intitolato “Rinascita”, per proporsi come punto di riferimento di tutti gli “uomini liberi”. Gabriotti accettò di fungere da redattore responsabile; Pierangeli prese carta e penna per chiedere l’autorizzazione al ministro della Cultura Popolare. […] I promotori di “Rinascita” si impegnarono a rispettare le disposizioni delle autorità governative finché sarebbe durata la guerra, ma sottolinearono la necessità di svolgere nel frattempo un’opera di educazione politica, per “spiegare la fallacia del mito mussoliniano e della sua concezione totalitaria dello Stato” e affermare l’esigenza dello smantellamento di ogni articolazione del regime.
Nell’enfasi sul dovere di rieducare la gente alla libertà e alla partecipazione, perché diventasse protagonista di una nuova democrazia, si esprimeva il meglio dell’intuizione politica di Gabriotti e di Pierangeli. Entrambi rifuggivano da proclami demagogici e settari; entrambi confidavano nella capacità del popolo di apprendere l’amara lezione della storia e di ricostruire una società più giusta; entrambi, inoltre, erano consapevoli che in un momento così drammatico e decisivo bisognava anteporre alle divergenze ideologiche un’assidua e sincera ricerca di unità.
In quelle prime frenetiche ed esaltanti ore di libertà, prevalse negli antifascisti la volontà di evitare qualsiasi forma di vendetta e di rappresaglia.
L’indomani la popolazione ebbe modo di scambiare le prime opinioni sulla caduta del regime. Si diffuse uno stato d’animo misto di tranquilla soddisfazione e di preoccupata attesa. Ci si chiedeva soprattutto quando sarebbe finita la guerra. Il gruppo di oppositori lavorò alacremente alla stesura di “Rinascita”, che fu stampato nel pomeriggio del 26 luglio e diffuso la sera stessa. Durante la sua distribuzione, sopraggiunsero i carabinieri, che sequestrarono le copie restanti ed arrestarono Gabriotti. Gli contestarono il fatto che la pubblicazione non era ancora autorizzata e a nulla valsero le assicurazioni sui suoi intenti pacificatori. Gabriotti fu rilasciato dopo poche ore ma dovette abbandonare ogni speranza di vedere di nuovo “Rinascita” in edicola.
Non mancarono comunque segnali positivi di cambiamento. Il podestà Amedeo Corsi, dichiarandosi “interprete del giubilo popolare”, si affrettò a telegrafare al re per assicurare la fedeltà della città a Badoglio. Inoltre accettò senza riserve la proposta degli antifascisti di costituire un comitato per offrire assistenza alla popolazione e agli sfollati. Venne individuata proprio in Gabriotti la personalità più idonea a coordinarlo; a Pierangeli fu invece richiesto di assumere la presidenza dell’ospedale e delle Opere Pie. Il comitato svolse un’attività molto concreta e improntata al massimo di convergenze possibili per andare incontro ai bisogni della gente.
L’estratto è una breve sintesi, senza note, del testo in Venanzio Gabriotti e il suo tempo (Petruzzi Editore, 1993).